Buongiorno a tutti!
Dopo un periodo di pausa, ci ritroviamo a parlare nuovamente di Food Photography (per vedere le lezioni precedenti cliccate QUI), in questo appuntamento pre natalizio.
Fino ad ora abbiamo dato un quadro storico su cosa sia questo genere fotografico e abbiamo compreso di quali strumenti dobbiamo dotarci per ottenere dei risultati soddisfacenti.
In questo capitolo vedremo invece un’altra cosa molto importante: la differenza che passa tra il lavoro in uno studio fotografico e quello in una location esterna. Oggi, in particolare, parleremo del primo.
E’ quasi superfluo dire che ci troviamo in due situazioni molto diverse, le quali richiedono metodologie di lavoro differenziate.
Brevemente, lo studio fotografico è il vero e proprio laboratorio di un fotografo. Lì possiamo decidere e manipolare ogni particolare che ci interessi, dal fondale per le nostre immagini, al tipo di illuminazione, ai dettagli da inserire o eliminare e via dicendo.
E’ un luogo neutro, dove il risultato finale dipende solo ed esclusivamente dal nostro estro creativo.
Dire “location” invece, è un pò come dire tutto e niente. Quando parliamo di location, banalmente, parliamo di tutto ciò che non è uno studio fotografico, ad esempio un parco o una strada, oppure l’interno di una casa, di un ristorante, di uno show room.
E’ il luogo fisico, insomma, che abbiamo deciso essere lo scenario per il nostro set.
Molti fotografi “non professionisti”, non avendo a disposizione uno studio professionale, ricorrono proprio a questa soluzione o, in altri casi, decidono di affittarne uno o di allestirne un surrogato più o meno funzionale in casa.
Nel caso della Food photography, direi che si possono ottenere buoni risultati lavorando in entrambe le situazioni, anche se il mio consiglio è sempre quello di lavorare in uno studio dove potete contare su di una strumentazione professionale e magari un assistente di studio in grado di aiutarvi nella risoluzione di un problema. In caso di piatti elaborati, accertatevi che vi sia lo spazio dove poterli preparare o addirittura una cucina. Un sopraluogo preventivo vi toglierà ogni dubbio.
Perché dico questo?
Semplicemente perché un piatto appena preparato presenta quelle armonie di colori e quella consistenza che noi vogliamo esaltare ed immortalare. Nei piatti caldi poi possiamo includere il fumo che lentamente si dissipa dalla pietanza, così carico di aromi tanto quanto di un’idea di squisitezza. Tutti questi elementi li perderemmo irrimediabilmente se arrivassimo in studio con cose già pronte, magari diventate opache e stoppacciose. Tenere a mente questo consiglio farà la differenza in tutte le vostre fotografie.
Una volta preparato il piatto e dopo aver deciso l’inquadratura e lo sfondo (tema che tratteremo abbondantemente in uno dei prossimi capitoli ) deciderete che tipo di illuminazione dargli.
In uno studio avrete a disposizione le luci continue ( per dei toni più caldi ), oppure i classici flash, con luce diretta dall’effetto croccante, o attraverso un diffusore ( comunemente detto bank ) per una luce più naturale e morbida, dalle ombre attenuate.
Nel primo caso sarà molto importante il posizionamento della luce: una lampada messa al lato del nostro piatto genererà una luce cosiddetta “ di taglio” che darà incredibile risalto ai dettagli, con ombre nette e molto consistenti. Il risultato sarà molto d’atmosfera e conferirà alla nostra foto un alone di mistero tipico di una fotografia commerciale – creativa. Se la parte non illuminata vi sembra troppo buia, un pannello riflettente dall’altro lato darà una sfumatura di luce anche in quella zona.
Nel secondo caso la luce verrà posizionata dall’alto verso il basso, a 45° rispetto al piatto.
Se non si dispone di una gabbia di luce, utilizzare un tavolo da still life o, in ogni caso, un fondo bianco.Per uniformare l’illuminazione potremo utilizzare una seconda luce, regolata ad un’intensità più bassa rispetto alla principale, in modo da togliere quasi tutte le ombre, dando così un aspetto molto solare e gustoso al nostro soggetto.
Questa è la tecnica tipica con la quale vengono fotogra
fati piatti freddi, come sandwiches e insalate, oppure piatti primaverili/estivi. Un metodo per ottenere queste immagini, ampiamente usato negli studi fotografici, è posizionare il piatto in una gabbia di luce, una sorta di cubo di tela bianco, dalle pareti semi trasparenti. I flash vengono posti all’esterno, generalmente a destra e a sinistra. La luce entra nella gabbia e da un effetto uniforme, privo di ombre indesiderate.
E’ importante ricordare che la fotografia di food è una branca dello still life, il genere con il quale da sempre si realizza la fotografia pubblicitaria e sappiamo che la pubblicità è l’anima del commercio. Una brutta foto, o comunque insipida, non metterà al consumatore la voglia di comprare o consumare il prodotto. Ecco perché i set di still life sono caratterizzati da ore di lavoro per la preparazione del set e lo studio della luce.
Solo dopo molte ( ma molte ) prove di scatto si è pronti a realizzare l’immagine finale.
Non siate frettolosi dunque e curate la fotografia nei minimi particolari. Abbellite il piatto, aggiungete elementi esterni accattivanti che vadano in relazione (o anche in contrapposizione!) con il soggetto. Abbiamo visto, nei capitoli precedenti, come la fotografia di food sia stata influenzata da diverse correnti di pensiero, dove prima si è puntato a creare immagini dove il cibo desse un’impressione di disgusto, mentre poi si è passati alla fotografia come mezzo di esaltazione.
Qualunque sia l’effetto che intendete dare al vostro piatto, siate pazienti, perché il cibo buono ve lo ricorderete subito, quello cattivo anche…. Ma quello insipido?
Buon Natale a tutti!
Omar Abd el Naser
www.gnfotografia.com
Ciao Omar,
certo lo immaginavo. Ma sono dell’idea che, essendo la food photography, un tipo di fotografia molto particolare si presta poco a generalizzazioni. Certo che i cibi appassiscono anche sotto la luce pilota dei flash, infatti si usano poco. Solitamente si utilizzano controfigure dai colori e forme simili alla pietanza da fotografare e solo quando lo schema è pronto e collaudato si scatta la foto vera e propria.
Scusa se intervengo ma, essendo il mio lavoro, tengo anche ai dettagli
Ciao e buone feste a tutti!
Non è per creare polemica ma io sinceramente la Light Box la eviterei: produce foto piatte e senza mordente. Da quando lavoro in questo settore non l’ho mai vista utilizzare su un set di food. Solitamente la si utilizza per foto di prodotto, le classiche foto su sfondo bianco che popolano volantini e cataloghi vari.
Poi non capisco: le luci continue per dei toni più caldi? Non ha molto senso. È il bilanciamento del bianco la determinante. Anche perché nella food photography o utilizzi flash o luce continua daylight che ha più o meno la stessa temperatura dei flash (5500°K/5600K°).
Se metti una pietanza sotto ad un’alogena o comunque sotto a luci con temperatura sotto ai 5000°K non resta “appetibile” per più di 5 minuti.
Ciao Andrea,
Le tue critiche sono assolutamente condivisibili, tuttavia in questo capitolo ho parlato in linea generale della strumentazione e delle possibilità che abbiamo in uno studio. Ho parlato dei diversi tipi di luce, tralasciando in effetti le continue daylight.
Magari con le alogene non fotografo un gelato ma ho visto piatti deperirsi anche dopo troppo tempo sotto le pilota dei flash.
Sul bilanciamento del bianco hai ragione, ma preferisco pensare alle dominanti di un’ immagine anche al di là del software di una fotocamera, per chi magari scatta ancora in pellicola.
Nemmeno io userei mai una lightbox ma le fotografie possono essere di diversi destini: dalla mostra d’autore al volantino della pizza take away.
Ogni fotografo è dotato di differenti aspirazioni e talenti quindi è giusto che il ventaglio delle opzioni sia il più ampio possibile.
Ciao!